Dal 2024 la cessione a titolo oneroso di immobili su cui sono terminati da non oltre dieci anni lavori agevolati dall’articolo 119 del Dl 34/2020 determina una plusvalenza imponibile Irpef.
Nel calcolo di quest’ultima, le spese sostenute (ma solo quelle agevolate al 110% oggetto di cessione del credito o di sconto in fattura) non rilevano se l’intervento si è concluso da non più di cinque anni, mentre rilevano al 50% in caso contrario. Sulla plusvalenza è sempre possibile chiedere al notaio l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26%, ex articolo 1, comma 496, legge 266/2005 (eliminando ogni obbligo dichiarativo); ma solo se l’acquisto o la costruzione risalgono ad almeno cinque anni addietro è possibile aggiornare il costo originariamente sostenuto in base all’indice Istat. La provenienza successoria o l’aver adibito l’immobile ad abitazione principale del cedente (o dei familiari) per la maggior parte del periodo di possesso (o, comunque, per la maggior parte del decennio anteriore alla cessione) rendono la plusvalenza fiscalmente irrilevante. Ma l’aver acquistato il fabbricato anche da moltissimi anni, o averlo ricevuto in donazione, non rende la cessione non imponibile. Inoltre, le conseguenze sulla plusvalenza realizzata introdotte dalla nuova disciplina si verificano anche quando l’intervento sull’immobile è stato:
· Pagato da soggetti diversi dal proprietario (locatario, comodatario, familiare convivente, eccetera)
· Eseguito a livello condominiale, con ripartizione millesimale di spese sostenute sulle parti comuni
Il testo normativo è sufficientemente chiaro, ma ciò non toglie che l’Agenzia (a partire dal prossimo Telefisco del 1° febbraio) è chiamata a fornire alcuni chiarimenti operativi. Va specificato, infatti:
· Come comportarsi se la cessione delle quote residue interviene dopo la vendita dell’immobile (e, magari, dopo la presentazione della dichiarazione della relativa plusvalenza)
· Se le penalizzazioni restano quando, ad esempio, nessuna quota è stata dedotta né ceduta, o restituita a seguito di un accertamento
· Se le spese sostenute per monetizzare il bonus (in favore di cessionari o fornitori) possono ridurre il plusvalore imponibile
· Come gestire situazioni “ibride”, in cui alcuni costi sono stati ceduti (ad esempio il primo Sal) mentre altri sono stati detratti e, ad esempio, trasferiti (per le quote residue) all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare
· Se solo alcuni condòmini si sono accollati i costi dell’intervento superbonus, mentre altri non hanno sostenuto alcuna spesa e cedono la propria unità immobiliare
Leggendo la norma, sembra ricadere nella “stretta” imposta dalla legge di Bilancio anche chi rivende (nei dieci anni dalla fine lavori) un immobile su cui il precedente proprietario (e non il secondo cedente) – quale «altro soggetto avente diritto» – abbia realizzato l’intervento da superbonus: ma questa lettura conduce a risultati irrazionali, considerato che l’ultimo cedente potrebbe non essere a conoscenza dell’intervento immobiliare realizzato dal precedente proprietario. Fonte: IlSole24Ore - Redazione